IL PROFUMO DEI COCKTAIL E APERITIVI
Tornano i cocktail. Nei bar più alla moda si ricreano atmosfere d’altri tempi, con divani bassi, luci soffuse, musica tenue di sottofondo, spesso accompagnata dalle note di un pianoforte.
Sembrano rivivere i gloriosi anni Cinquanta e Sessanta, quelli immortalati nelle pellicole in bianco e nero dei registi più celebri, dove i cocktail rappresentavano il momento clou della trama e i drink non mancavano mai nella mano dei protagonisti, ripresi in un angolo bar generalmente affollatissimo e fumoso. Un vero e proprio cliché, che ha segnato una delle epoche d’oro della cinematografia.
Ora, come un tempo, i camerieri incedono silenziosi tra i tavoli, mentre il barman, con abilità da giocoliere, scuote lo shaker sopra la spalla, catalizzando l’attenzione dei clienti e dando loro l’impressione di assistere alle alchimie di un mago. E il bicchiere, con la sua miscela misteriosa, con i suoi colori ora pallidi, ora intensi e vivaci, diventa protagonista di una coreografia raffinata.
CONSIGLI
Dopo tutto, questa bevanda miscelata con altre non va sorbita distrattamente in un pub come la birra, ma assaporata con attenzione per percepire l’armonia degli ingredienti, gustarne i contrasti, ammirarne la coreografia. Quella del barman, infatti, è un’arte che richiede studio e passione, grande precisione, ma soprattutto un raffinato senso del gusto, creatività e abilità, fusi in un’alchimia di sapori e colori dai risultati volutamente diversi; ha esigenze precise, a partire dal bicchiere per arrivare alla decorazione finale. Ed è sempre il barman, vero e proprio demiurgo, a decretarne il carattere e l’effetto.
STORIE USANZE E CURIOSITÀ
Ma chi ha inventato questa bevanda, e dove?
Sono domande che hanno sfiorato tutti, davanti a una moda che, negli anni, si ripropone con forza e insistenza. E qui si entra nel mondo degli aneddoti, delle supposizioni.
Partiamo dall’etimologia della parola “cocktail”.
Numerosi sono i racconti riguardanti questo insolito appellativo, che in inglese significa letteralmente “coda di gallo” e che, nel XIX secolo, indicava un cavallo cui era stata tagliata parte della coda affinché la portasse, appunto, alta come quella di un gallo. Questo intervento veniva eseguito su cavalli non purosangue, quindi il nome prese a indicare gli incroci (mezzosangue) e, per estensione, assunse il significato di “misto”. “mistura”, “miscuglio” e, quindi, “miscela”; e il cocktail era allora un mix di alcol, amaro, acqua e zucchero.
Un altro aneddoto fa riferimento al francese Antoine Peychaud che, dopo aver sperimentato una miscela di cognac, zucchero, spezie e amaro di erbe e averla mescolata in un coquetier (strumento di misura), si ispirò a quest’ultimo per il nome. Affiora poi alla memoria il coquetal, una bevanda diffusa nel XIX secolo nella zona di Bordeaux e preparata sempre con vino aromatizzato. Più folcloristica è invece la storia di Betsy Flanagan, albergatrice e moglie di un rivoluzionario che, nel 1779, serviva drink decorati con piume di gallo multicolori; evidentemente riscuotevano grande successo, tanto che un cliente avrebbe brindato, molto soddisfatto: “Vive le cocktail”.
Per quando riguarda l’usanza di miscelare diversi prodotti per creare una bevanda, è possibile far risalire questa consuetudine ai Galli e ai Romani, che erano soliti creare misture di vino e sostanze aromatiche, in particolar modo miele e anice, pratica che continuò anche nel Medioevo. È tuttavia solo nel XIX secolo, con la diffusione degli “sling” (miscele di liquori, acqua e zucchero), che si può collocare la nascita dei primi veri esempi di bevanda miscelata. Furono infatti gli inglesi a inventare bevande dai nomi divertenti e significativi, entrati poi di diritto nel dizionario dei barman: buck, cobbler, cooler, crusta, cup, daisy, eggnog, fancy, fix, fizz, flip, grog, julep, negus, nog, posset, rickey, sangaree, sling, smash.
Agli inizi del XIX secolo, con l’avvento del proibizionismo, trionfano in America le miscele che devono nascondere l’utilizzo di bevande alcoliche e abbassarne il costo. È la malavita, con Al Capone in testa, a fare grandi affari nella distribuzione degli alcolici, spesso mescolati in modo inappropriato con altri liquidi, talvolta nocivi alla salute. I nomi delle miscele dell’epoca sono significativi: vernice da bara, torcibudello, morte istantanea. Sono gli anni Venti e Trenta a portare all’apice la moda dei cocktail, consumati prima del pasto: in origine fu solo un fenomeno americano, come abbiamo visto, ma rapidamente si diffuse in Europa dove i giovani, attribuendovi un significato trasgressivo, lo adottarono con grande entusiasmo.
Con il passare del tempo queste bevande sono entrate a far parte della consuetudine, e il bere alcolici prima di sedersi a tavola non dà più scandalo, ma viene considerato ormai una sorta di sport d’élite. Nascono così i locali più famosi, come il primo Harry’s New York Bar, uno dei più celebri ritrovi americani, che annovera tra i propri clienti Hemingway e Fitzgerald.
Nelle abitazioni private, il cocktail diventa un’occasione per un party semplificato, un momento di incontro senza cena, solo per chiacchierare e ammirare l’abilità del padrone di casa trasformato in barman: un modo di stare insieme senza l’impegno di doversi necessariamente sedere a tavola.
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