LA STORIA DELLA CACCIA, DAL MEDIOEVO AD OGGI (Seconda Parte)
La caccia era per la popolazione del medioevo uno dei mezzi d’approvvigionamento del cibo, mentre per i nobili un vero e proprio rito. La selvaggina di piccola taglia, lepri e conigli, era abbattuta usando arco e balestra, ma in genere venivano praticati due tipi di caccia:
- La “venatio clamorosa” rumorosa con cani e corni, era riservata alla cacciagione di grossa taglia, dove si potevano dimostrare resistenza fisica, tattica e coraggio nello scontro corpo a corpo. Fra le prede più ambite c’erano orsi o lupi, animali che avevano un valore simbolico, come anche i regali cervi da cacciare a distanza con l’arco, o i demoniaci cinghiali da battere con la spada.
- La “venatio placita” silenziosa con falconi e reti, invece, incentrata sulla caccia di falconeria, vorremmo segnalare le indicazioni riportate nel “De arte venandi cum avibus”, dove Federico II divide gli uccelli da preda, tra quelli che si impadroniscono della selvaggina con gli artigli, “accipitres”, a quelli che la uccidono direttamente con il becco, “falcones”.
Dal VI sec. gli aristocratici si riservarono tecniche, territori e prede peculiari. Agli uomini di chiesa era consentita solo la caccia silenziosa, così come al popolo quella con reti e trappole. Vennero create riserve venatorie subordinate al consenso del re, ogni nobile o monastero possedeva la sua dove era permesso cacciare anche ai coloni, previa autorizzazione e pagamento in denaro o parte degli animali catturati.
LA CACCIA NELL’ETÀ MEDIOVALE
Durante l’età del Medioevo la selvaggina rappresentava ancora una fonte importante di cibo e pelliccia, solitamente procacciata da cacciatori professionisti.
In gran parte dell’Europa mediovale le classi sociali più elevate (aristocrazia e clero) godevano del diritto esclusivo di cacciare (e a volte pescare) in zone esclusive del territorio feudale.
Nel Medioevo fu proibito fra l’altro la pratica della caccia agli ecclesiastici, così come la frequentazione di banchetti israelitici
Con l’evoluzione della caccia in attività delle classi elevate, la sua pratica divenne codificata. La caccia, solitamente a cavallo, di animali pericolosi come leoni o cinghiali selvatici, si sostituì ai tornei medievali, diventando un passatempo onorevole e competitivo per l’aristocrazia e permettendo di provare la propria abilità di guerra in tempo di pace.
COME AVVENIVA LA CACCIA NEL MEDIOEVO
Quando non erano in guerra, i nobili continuavano il loro addestramento sportivo con la caccia. Era un’attività rischiosa, soprattutto quando si trattava di cacciare animali di grossa taglia, come i cinghiali o gli orsi. Infatti gli animali non venivano colpiti a distanza con arco e frecce, ma erano affrontati a viso aperto con la spada o con l’asta appuntita (lo spiedo), come in un duello. Usando queste tecniche, i cacciatori potevano dar prova della loro abilità e del loro coraggio.
Sebbene cacciare fosse un’attività pericolosa e violenta, i nobili fin da bambini assistevano alle battute di caccia insieme con le donne. Fin da ragazzi imparavano a maneggiare l’arco, la spada e la lancia, a condurre i cani e a lanciare i falconi. Questi ultimi erano ammaestrati e usati per cacciare uccelli anche di grandi dimensioni, come le gru e gli aironi.
Oltre che per addestrarsi al combattimento e sperimentare il proprio coraggio, i nobili praticavano la caccia anche per procurarsi carne e pellicce. Per tutte queste ragioni, i re e i grandi feudatari possedevano ampi terreni nelle regioni più boscose e facevano allevare in gran quantità cani e falconi addestrati per la caccia. Questi animali più erano abili più facevano la felicità dei loro padroni, che in genere vi si affezionavano. Inoltre, poiché costituivano un bene prezioso, venivano lasciati in eredità con i testamenti.
LA CACCIA CON I CANI
Tra gli animali usati dall’uomo per l’addestramento alla caccia, come falchi o furetti, i cani sono i più importanti e i più diffusi oggi. I moderni cani da caccia sono infatti il risultato di una lunga storia di selezione genetica.
L’utilizzo del cane nella caccia risale alle origini della civiltà umana. In seguito all’addomesticamento il cane si rivelò per l’uomo un aiuto prezioso nella caccia. L’olfatto sensibile del cane permette ai cacciatori di scovare e catturare prede che, altrimenti, sarebbero molto difficili o pericolose da cacciare.
Nel tempo i cani usati nella caccia sono stati classificati in razze diverse con specifiche abilità: segugi (usati per cercare la preda), cani da ferma (per fiutare e mostrare al cacciatore la preda), cani da tana (per cacciare animali nelle tane sotterranee), levrieri (per inseguire e uccidere la preda) e cani da riporto (per riportare piccole prede abbattute dal cacciatore). Attualmente vi sono numerosi tipi di caccia che si avvalgono dell’ausilio del cane, il quale viene comunemente definito nel linguaggio legislativo in materia di caccia, appunto, come ausiliare.
LA CACCIA ODIERNA NEGLI AMBIENTI POVERI
In gran parte del mondo moderno la caccia non rappresenta più un’attività indispensabile all’approvvigionamento del cibo, tuttavia in alcune società che vivono ancora in condizioni semi selvatiche e/o in condizioni di estrema povertà e/o in ambienti che non favoriscono l’agricoltura e l’allevamento la caccia ricopre ancora una funzione importante.
Tra gli Inuit la caccia, praticata con armi e trappole, rappresenta una risorsa primaria di cibo oltre che di pellame usato per la realizzazione di tende in grado di resistere alle basse temperature dell’Artico, mentre le pelli impermeabili dei mammiferi marini sono usate per la produzione di canoe, guanti, abiti e calzature.
La caccia per sfinimento viene ancora praticata dai cacciatori-raccoglitori del deserto del Kalahari dell’Africa meridionale. Nell’inseguimento di un’antilope del Kalahari centrale questa, benché riesca a portarsi fuori vista dal cacciatore, viene infine raggiunta prima che riesca a trovare il tempo per riposarsi e, quando troppo esausta per continuare a correre, viene colpita a breve distanza con una lancia. Questo tipo di caccia può durare anche cinque ore per un percorso totale tra i 25 e i 30 km, sotto temperature comprese tra i 40 e i 42 °C.
LA CACCIA MODERNA NEI PAESI INDUSTRIALIZZATI
Nei paesi industrializzati invece la caccia viene praticata principalmente come attività ricreativa oppure finalizzata allo scopo di commerciare il ricavato della cattura o dell’abbattimento degli animali.
Solitamente i cacciatori ritengono che passare del tempo all’aria aperta, in ambienti relativamente selvaggi e lontano dai sentieri più frequentati, sia una parte essenziale dell’attività venatoria. Inoltre la carne degli animali selvatici è più saporita e ha un gusto diverso rispetto alla carne degli animali d’allevamento.
Il cacciatore moderno può essere anche motivato dalla collezione di trofei di caccia. Normalmente le leggi stabiliscono il compimento della maggiore età per la pratica dell’attività venatoria, anche se in alcuni paesi, come negli Stati Uniti e in Canada, è sufficiente aver raggiunto i 16 anni.
La caccia praticata come attività ricreativa o commerciale è oggi criticata dal movimento per i diritti animali il quale sostiene che tali attività violano il diritto fondamentale alla vita degli animali cacciati e siano fonte di inquinamento e del saturnismo a causa del piombo delle munizioni da caccia rilasciato nell’ambiente.
Con il passare dei secoli la caccia assume sempre più l’aspetto di passatempo e di sport. Oggi uccidere i pochi animali che sono rimasti non ha più senso.
LA CACCIA COME GESTIONE DELLA FAUNA SELVATICA
La caccia, oggi, ha anche un ruolo nella “gestione” della fauna selvatica, ad esempio per mantenere la popolazione di una certa specie all’interno delle capacità di sostentamento dell’ambiente ecologico. In molti paesi occidentali (Italia compresa), guardie forestali ed ecologisti partecipano insieme alla scrittura di norme di regolamentazione della caccia, in modo che il numero di animali da abbattere garantiscano la preservazione della fauna selvatica.
LA NORMATIVA SULLA CACCIA IN ITALIA
La caccia in Italia è regolata dalla legge-quadro dell’11 febbraio 1992, n. 157 e s.m.i., in materia di Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio.
La legge 157/92 sancisce nell’articolo 1, comma 1, la condizione della fauna selvatica entro lo Stato italiano come segue: «La fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale.». La fauna selvatica è considerata patrimonio indisponibile, per cui nessuno può disporne liberamente e la sua tutela è nell’interesse di tutti i cittadini, anche a livello sovranazionale.
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