CENNI STORICI SULLA TRACCIA DEL GELATI 1°Parte

Per l’inizio della storia del gelato, mi rifaccio ad una leggenda metropolitana che rinvia a quel grande contenitore di storie di tutti i tipi, con la presunzione di raccontare la storia di tutto, una fonte sicuramente inaffidabile ma altre non ce ne sono … la Bibbia!

FANTOMATICA ORIGINE BIBLICA

Secondo centinaia di storie del gelato, nella Bibbia ci sarebbe scritto che Isacco offrì ad Abramo latte di capra misto a neve, dicendogli:

Da cui la deduzione che l’intruglio fosse un proto gelato.

Ovviamente in nessuna storia del gelato ho trovato citato il versetto biblico in questione. Per averne conferma basterebbe chiedere a qualche “biblista” o almeno a qualcuno che la Bibbia, talvolta, la apre ma non ne conosco.

Per capire che la fantomatica origine biblica è una bufala basta visitare Israele d’estate: nei mesi caldi è difficile trovare neve da mescolare a qualsivoglia bevanda. Vero però che a Gerusalemme che sorge a 760 metri d’altezza nevica in media una volta l’anno, come anche che in molti paesi mediterranei tra cui la Grecia la neve veniva raccolta e compressa d’inverno in apposite costruzioni perché durasse fino all’estate.

Più realistico uno studio europeo che parla di conservazione del cibo (bacche carne di cervo, frutti secchi) tra i ghiacci residui di nevicate, da parte di popolazioni di Neandertal. In seguito popoli più evoluti, che praticavano l’allevamento, avranno conosciuto il latte ghiacciato, alimento tutt’altro che raro nei periodi invernali.

Ho letto che in Oriente ed Egitto i Faraoni offrivano agli ospiti calici d’argento divisi a metà, una piena di neve e l’altra di succhi di frutta, un proto sorbetto. Sarà vero? Non saprei.

I SEC. – SORBETTI DEGLI ANTICHI ROMANI

Le prime fonti scritte, un minimo affidabili, riferibili al gelato, risalgono agli Antichi Romani:

Sicuramente i Romani impararono ad utilizzare la neve e il ghiaccio per consumo alimentare e per raffreddare le vivande. Segnalo anche che quando la neve non c’era, gli antichi riuscivano comunque a “fabbricare” il ghiaccio: riscaldavano l’acqua, successivamente la portavano in profondi sotterranei freddi, dove il vapore acqueo gelava sulle pareti di roccia.

Nell’antica Roma il piacere di consumare bevande mescolate a neve e ghiaccio non era solo privilegio dei ricchi, poiché anche il popolo aveva la possibilità di degustare bevande ghiacciate. A Roma la neve veniva portata dal Terminillo, come anche per nave dall’Etna e dal Vesuvio, due immense riserve che fornirono per secoli un fiorente commercio fornendo la materia prima ai palazzi imperiali, come anche ai popolari “Thermopolia” (luoghi di ristoro antesignani degli Autogrill) disseminati lungo le strade, sempre affollati di viandanti accaldati.

Una vecchia ricetta tramandataci da Plinio il Vecchio (23 d.C. – 79 d.C.), fa capire quando tra i romani fosse acquisito il concetto di sorbetto: mescolare ghiaccio tritato finemente e miele, ad un’altra porzione di ghiaccio mescolato con succo di frutta, così da realizzare una specie di crema ghiacciata.

V – IX SEC. – MEDIOEVO E CULTURA ARABA

Con la caduta dell’Impero Romano, nel 476 d. C., e l’inizio del Medio Evo si persero tante di quelle raffinatezze che erano state fino ad allora patrimonio comune di molti popoli.

In quanto cibi “di lusso”, quindi tacciati d’esser peccaminosi, i gelati svanirono pressoché del tutto dalla scena europea durante il Medioevo. Diversamente nel Vicino Oriente la ricetta per la “dolce neve”, il sorbetto, veniva perfezionata.

Questa la probabile etimologia di “sherbet”, secondo altri invece sorbetto deriva da “sharber” (sorbire) da cui deriverebbe, tramite la lingua turca, il vocabolo “chorbet”.

Sembra che fosse stato un discepolo di Maometto a scoprire il sistema per congelare i succhi di frutta, mettendoli in recipienti, che venivano a loro volta immersi in altri riempiti di ghiaccio tritato. Sistema questo, che con più accurati accorgimenti è rimasto per tanti secoli, fino all’invenzione dei frigoriferi, come base per la preparazione dei gelati.

Dall’Oriente, il gelato, ormai sconosciuto in Europa, cominciò nuovamente a diffondersi in forme più raffinate e leggere inventate dagli Arabi, che avevano scoperto l’uso dell’aggiunta dello zucchero e di nuovi succhi di frutta, tra cui primeggiarono quelli degli agrumi.

IX – XI SEC. – DALL’ARABIA ALLA SICILIA

Gli Arabi riportarono la tradizione del gelato in Sicilia, sotto dominio Arabo dal 827 al 1091, dove guarda caso c’era la neve dell’Etna. Il gelato riapparve nelle forme più raffinate e leggere inventate dagli Arabi, che avevano scoperto l’uso dell’aggiunta dello zucchero e di nuovi succhi di frutta, tra cui primeggiarono quelli degli agrumi. La fantasia orientale, nella Sicilia ricca di frutta e di neve si esaltò e fece scuola.

La vera diffusione del “gelato” in Italia partì dalla Sicilia, dove i gelatai, che avevano imparato dagli Arabi, poi perfezionando le ricette con la loro inventiva, cominciarono a portare il gelato a Napoli, poi Firenze, Milano, Venezia.

Nelle regioni europee più a nord, in Francia, Germania, Inghilterra, i Crociati, ritornando dalla guerra Santa, portarono preziose ricette, il gelato cominciò a riapparire come nuova scoperta alla tavola dei ricchi. Diversamente in Spagna il sorbetto si diffondeva tramite i rapporti commerciali del Portogallo con i popoli delle Indie.

Bisogna comunque aspettare il Rinascimento, per vedere rinascere il gelato in Italia, In Toscana come in Sicilia, da qui poi esportato oltralpe in Francia.

XIII SEC. – SALNITRO PER PRODURRE GHIACCIO

Dalla Cina, intorno al 1200, Marco Polo riportava a Venezia una nuova tecnica per il congelamento basata non più sulla neve ma su una miscela di salnitro (che serve anche per la polvere da sparo) e acqua. Il nitrato di potassio, o salnitro, disciolto in acqua ne provoca l’abbassamento della temperatura così da produrre il ghiaccio per via chimica.

Nel 1530 in Sicilia si utilizzava questa tecnica per produrre sorbetti usando una mistura di ghiaccio e salnitro. Il mix di ghiaccio e salnitro permetteva di superare il semplice raffreddamento delle miscele per passare allo stato di congelamento.

Nel primo decennio del Seicento si trovano nuove tracce della stessa lavorazione basata sul salnitro alla corte di Mantova e a Napoli.

Successivamente Santorio Santorio (1561 – 1636), medico e fisiologo italiano, ottiene gli stessi risultati miscelando semplicemente ghiaccio tritato e sale comune nelle proporzioni di 1 a 3. Nel 1626 egli narra di essere stato in grado di congelare del vino usando una miscela di ghiaccio e sale comune, invece che salnitro.

Questo metodo ha continuato a essere l’unico sistema per ottenere il freddo artificialmente. Almeno fino a che l’americano Jacob Perkin (1766 – 1849), nel 1834, brevettò in Inghilterra il primo frigorifero usando l’evaporazione dell’ etere, poi si è usato il freon.

XVI  SEC. –  DALLA  TOSCANA  ALLA  FRANCIA

Incerte fonti storiche, ritengono essere stata Caterina de’ Medici (1519  – 1589) nel XVI secolo, in pieno Rinascimento, a esportare oltralpe il sorbetto, grazie al suo pasticcere, un tal Ruggieri, originariamente di professione pollivendolo e cuoco per diletto, che sembra fosse depositario di una sua ricetta segreta, mediante la quale otteneva un prodotto squisito.

Ruggeri, concorrente inatteso e snobbato da tutti gli altri cuochi avrebbe partecipato ad una gara alla Corte dei Medici, con tema: “il piatto più singolare che si fosse mai visto”. Per questa gara avrebbe preparato un sorbetto, chiamato allora “dolcetto gelato”, con delle ricette quasi dimenticate e con un pizzico di fantasia. Con il suo “sorbetto” Ruggieri conquistò i giudici che lo proclamarono vincitore facendolo diventare famoso in tutta la Toscana e ricercato ovunque.

Caterina de Medici, dovendo partire per sposare Enrico, futuro Re di Francia, espresse il desiderio di portare con sé, oltre a cuochi e pasticcieri, l’unico italiano, diceva lei, in grado di umiliare i francesi, almeno in cucina, proprio Ruggeri. Sebbene Ruggeri fosse recalcitrante a seguire la sovrana, Caterina, testarda e ostinata, non sentì ragioni e lo fece prelevare a forza dai soldati e portare a spalle sulla nave che l’avrebbe condotto da Livorno a Marsiglia. La vita alla corte parigina, per il povero Ruggeri, fu difficile e irta di ostacoli: l’invidia degli altri cuochi gli fu quasi fatale, specialmente quando subì un agguato in cui fu malmenato e derubato. Offeso e stanco, se ne tornò in Italia, lasciando dietro di sé solo la ricetta del suo “ghiaccio all’acqua inzuccherata e profumata”.

XVII – XVIII SEC. – DALLA SICILIA ALLA FRANCIA

Più certo storicamente il contributo della Sicilia e di un Siciliano, Francesco Procopio dei Coltelli detto Procope, per quanto riguarda il consumo e la diffusione del sorbetto.

La Sicilia ebbe un ruolo fondamentale per quanto riguarda il consumo e la diffusione del sorbetto grazie all’ingegno di un nobile siciliano, Francesco Procopio dei Coltelli detto Procope (1651 – 1727). La figura di Procopio è ancora oggi avvolta da ombre, nacque sicuramente in Sicilia, ma sono due le località a contendersene i natali: Aci Trezza e Palermo. Il ritrovamento nell’archivio parrocchiale della Chiesa di Sant’Ippolito di Palermo di una annotazione di battesimo datata al 10 febbraio del 1651 di un omonimo bambino con il caratteristico cognome siciliano Cutò, che suona proprio come il francese “couteaux”, cioè coltelli, fa invece propendere per l’origine palermitana.

Dall’atto del suo primo matrimonio conosciamo i nomi dei suoi genitori, Onofrio e Domenica. Della sua vita in Sicilia sappiamo ben poco: è possibile che abbia trascorso qualche anno ad Aci Trezza, il che potrebbe spiegare sia perché lo si dicesse nato lì, sia perché la sua attività divenne quella di gelatiere. Aci Trezza è in provincia di Catania, luogo dove, come già detto, sin dagli Antichi Romani si raccoglieva e usava la neve che in inverno cadeva sull’Etna.

Si dice che Procopio avesse ereditato dal nonno Francesco, un pescatore che nei momenti di libertà si dedicava all’invenzione di una macchina per la produzione di gelato che ne perfezionasse la qualità rispetto agli standard dell’epoca, una rudimentale sorbettiera che cercò di migliorare. Stanco di fare il pescatore e non vedendo per sé un futuro in Sicilia, Procopio decise di trasferirsi in Francia, a Parigi.

In Francia Procopio francesizzò il suo nome in François Procope de Couteaux e fece fortuna. Si sposò tre volte: la prima nel 1675 nella chiesa di Saint Sulpice, con Marguerite Crouin da cui ebbe otto figli; la seconda nel 1696 con Anne Françoise Garnier, che gliene diede quattro; la terza, nel 1718 ormai anziano, con Julie Parmentier da cui ebbe un altro figlio. Nel 1685 ottenne la cittadinanza francese.

Quando Procopio arriva in Francia si stanno diffondendo quei locali ancora oggi chiamati Café, per diffondere l’uso dell’omonima bevanda. Procopio lavorò dapprima come garzone in uno di questi Café, di proprietà di un armeno di nome Paxal. Aprì poi un suo locale in rue de Tournon. Infine rilevò il Café di un altro armeno in rue des Fossés Saint-Germain, divenuta poi rue de la Comédie e infine rue de l’Ancienne-Comédie. Quest’ultimo locale nel 1686 prenderà il suo nome, Le Procope, e avrà un’enorme fortuna. Procopio morì a Parigi il 10 febbraio 1727, ma la fortuna del suo locale continuò anche nei secoli seguenti. Ancora oggi esistente, seppure trasformato in ristorante, è considerato il più antico Café  parigino.

XVII – XVIII Sec. – CAFÉ LE PROCOPE  A PARIGI

Il Café Le Procope è posizionato vicino al teatro della Commedie Francaise, vi si recavano gli attori e il personale del teatro, ben presto il locale divenne punto di ritrovo anche per intellettuali.

I clienti potevano trovarvi i pochi giornali esistenti all’epoca, carta e inchiostro, affinché chiunque potesse leggere, commentare e discutere … Fermandosi così più a lungo nel locale! Pare che molte delle voci dell’Enciclopedia di Diderot e d’Alembert fossero composte ai suoi tavoli: non per niente una di queste voci è dedicata al gelato!

A fare il successo del Café Le Procope fu il gelato, di cui Procopio, dopo vari esperimenti, era riuscito a migliorare la consistenza, grazie soprattutto all’uso dello zucchero come dolcificante al posto del miele. In realtà i suoi gelati assomigliavano più a cremolati o sorbetti, il successo fu enorme, il loro consumo divenne di moda. Procopio riuscì a diffondere fra la colta borghesia francese quello che prima era servito soltanto sulle tavole dei ricchi e dei potenti. La presentazione del gelato era molto curata: offerto in eleganti bicchierini simili a portauovo. Ecco la ricetta del gelato del Café Le Procope tratta da “La storia del Gelato”, di Panciera D., Lazzarin P., Caltran T., La storia del Gelato, Cierre Edizioni, Verona 1999 (pag. 18), basata sull’uso dello zucchero al posto del miele e il sale mischiato con il ghiaccio per farlo durare di più, che fece fare al gelato un salto di qualità.

Ingredienti: mezzo litro di panna, 25 cl di latte, un tuorlo d’uovo, 375 g. di zucchero.

Procedimento:

Dal Re Luigi XIV, il Re Sole (1638-1715), Procopio ottenne una patente reale che gli consentiva di vendere in esclusiva: “acque gelate” (granite), tra cui il “gelo” di caffè, gelati di frutta al succo d’arancio, di limone, alla fragola, ai fiori d’anice e cannella, crema frangipane molto ricca e profumata preparata usando farina di mandorle, burro, zucchero e uova.

In questo locale, frequentato da nobili, intellettuali e artisti, i francesi impararono ad apprezzare il sorbetto, che era preparato con succhi di arancia e limone, ma anche con aromi fra cui quelli alla violetta e alla rosa.

Frequentarono il Café  Le Procope le maggiori personalità della cultura e della storia francese: dai rivoluzionari Danton, Robespierre e Marat, a Napoleone; agli enciclopedisti Denis Diderot e Jean-Baptiste Le Rond D’Alembert; al matematico Georges-Louis Leclerc, Conte di Buffon; a scrittori come La Fontaine, Jean-Baptiste Rousseau, Voltaire, Alfred de Musset, Honoré de Balzac, Victor Hugo, Oscar Wilde, George Sand, Paul Verlaine e Anatole France.

Di queste frequentazioni si raccontano storie curiose come quella che vede il giovane tenente Napoleone Bonaparte lasciare in pegno una sera il suo Bicorno (copricapo) perché non aveva potuto pagare le consumazioni offerte agli amici. Un’altra leggenda vuole che Benjamin Franklin abbia compilato la costituzione degli Stati Uniti seduto ai suoi tavoli.

Alla fine del XVIII secolo il locale divenne noto come Café Zoppi, dal nome del suo nuovo gestore. Durante la Rivoluzione vi si radunavano patrioti e uomini di cultura al punto da sentirsi quasi un club “gli abitué del Café Zoppi “. Da qui pare che partì l’ordine di attaccare le Tuilleries nel 1792. Una curiosa memoria di quel periodo si conserva ancora oggi: se all’odierno Ristorante Le Procope aveste bisogno di usare il bagno, non trovereste l’indicazione uomini-donne, ma “Citoyens” o”Citoyennes”, ossia cittadini-cittadine, secondo una terminologia che rimanda agli anni della Rivoluzione.

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