IL FARRO

il farro

Con il termine generico di farro si fa riferimento a tre diverse specie del genere Triticum facenti parte della classe dei monocotiledoni e della famiglia delle graminacee:

Come l’orzo, anche il farro si differenzia dai frumenti poiché possiede la cariosside “vestita”, ossia che rimane avvolta dalle glume e dalle glumelle anche dopo la trebbiatura.

L’ORIGINE E LA DIFFUSIONE DEL FARRO

Il nome farro è denominazione generica attribuita indifferentemente a ben tre specie diverse del genere Triticum, comunemente chiamate “frumenti vestiti”.

Fino agli inizi del ‘900 la loro coltivazione era diffusa in alcune valli dell’Appennino e in diverse zone montane d’Italia; in seguito è quasi scomparsa. Oggi è in forte ripresa per interessi legati alla riscoperta di cibi tipici e alternativi, a provvedimenti di politica agraria volti a diversificare gli indirizzi produttivi ed al recupero di aree marginali e svantaggiate attraverso forme di agricoltura ecocompatibili, alla accresciuta sensibilità nei riguardi della conservazione di specie agrarie a rischio di estinzione o di erosione genetica (biodiversità).

Le più importanti aree italiane di coltivazione sono la Garfagnana e l’area umbro-laziale tra l’Umbria ed il Reatino.

Il dicocco ha avuto una rapida diffusione rispetto al mono cocco proprio grazie alle sue maggiori rese; lo spelta è il farro di origine più recente, avendo come progenitore appunto il farro dicocco.

I CARATTERI BOTANICI DEL FARRO

1) IL FARRO PICCOLO

Il farro piccolo è il meno produttivo e il più tardivo (spigatura e maturazione ritardano di 10-20 giorni rispetto alle comuni varietà di frumento tenero), è inadatto agli ambienti con precoce innalzamento delle temperature accompagnato da assenza di precipitazioni. È molto suscettibile all’allettamento. Il farro piccolo presenta interesse soprattutto sotto l’aspetto qualitativo: le cariossidi, a frattura semi-vitrea, hanno un elevato contenuto di proteine e di carotenoidi.

Le spighette hanno glume consistenti che racchiudono una, o molto raramente due, cariossidi a frattura semi vitrea. È il farro di più antica origine e coltivazione.

2) IL FARRO MEDIO

Il Farro medio è il più importante e diffuso farro coltivato in Italia, è spesso considerato il farro per antonomasia. È più adattabile dello spelta a condizioni ambientali difficili. Nell’ambito degli areali centrali italiani la coltivazione e la riproduzione in loco da lunghissimo tempo dei medesimi genotipi hanno differenziato delle popolazioni autoctone (ecotipi) caratteristiche degli areali medesimi (farri della Garfagnana e del Molise.

Il Farro medio presenta, come il farro piccolo, spiga compatta generalmente aristata. Le spighette contengono di norma due cariossidi, raramente tre. La sua area di diffusione è collocabile da oriente del Mediterraneo fino al Caucaso.

3) IL FARRO GRANDE

Il farro grande possiede potenzialità produttive superiori al farro medio, che tuttavia possono esprimersi appieno solo in ambienti non troppo sfavorevoli. In situazioni pedoclimatiche difficili lo spelta non risulta competitivo col farro medio.

Il farro grande ha la spiga senza (o con brevissime) reste. Come nel farro medio, le spighette contengono due cariossidi, raramente tre. È il farro di origine più recente. La sua origine è situata tra il Mar Caspio e i territori dell’Afghanistan e del Kazakistan odierni.

LE ESIGENZE PEDOCLIMATICHE

IL CICLO BIOLOGICO DEL FARRO SCELTA VARIETALE E SEMINA

Il farro presenta un ciclo biologico tardivo rispetto a quello del frumento duro e quindi un clima eccessivamente caldo e secco, durante le fasi finali di maturazione, può influire negativamente sulle rese.

Negli ultimi anni sono stati compiuti numerosi progressi nell’ambito della selezione genetica delle varietà di farro, oltre a migliorare la produttività e a ridurre i problemi di allettamento e fragilità del rachide, si sta lavorando per ottenere linee di farro nudo o facilmente decorticabile. La semina viene effettuata nella prima decade di novembre.

LA ROTAZIONE E LA GESTIONI DELLE AVVERSITA’

Il farro si inserisce in successione a colture da rinnovo o miglioratrici annuali oppure un cereale maggiore, infatti la successione a prati di leguminose poliennali può portare a problemi di allettamento dovuti ad eccesso di azoto, in tal senso è da evitare quindi anche la concimazione azotata.

Considerata la spiccata rusticità del farro, è possibile preparare letti di semina grossolani, sostituendo l’aratura con operazioni discissorie o lavorazioni ridotte, soprattutto se il farro segue colture da rinnovo che già conferiscono una buona struttura al terreno.

Nel caso in cui le malerbe prendano il sopravvento, è possibile intervenire in copertura con un erpice strigliatore, ma questo solo se la semina è stata eseguita a file e avendo cura di aspettare che le plantule siano ben radicate al terreno. Per assicurarsi di non causare danni da estirpamento, si può intervenire successivamente con una rullatura, che favorisca anche l’accestimento della coltura.

LA CONCIMAZIONE

Di solito è sufficiente la letamazione o la fertilità lasciata dall’erba medica. Il farro ha infatti modeste esigenze in fatto di elementi nutritivi. Modesti apporti di azoto possono viceversa rendersi utili su terreni di fertilità molto scarsa, con avvicendamenti in cui prevalgono colture sfruttanti o senza apporti di letame. 

In pre-semina ed in copertura, intervenire al suolo con i concimi organici ed organo-minerali.

L’azoto non è soggetto a perdite per lisciviazione e volatilizzazione, per cui questi concimi rispettano l’ambiente e riducono gli sprechi economici. La complessazione degli altri meso e microelementi alla matrice proteica consente una cessione progressiva e modulata, completamente naturale, che prolunga la disponibilità per le piante anche di fosforo, potassio, ferro, zolfo, limitando i fenomeni di immobilizzazione nel suolo. Con soli due interventi, viene soddisfatto tutto il fabbisogno nutrizionale della coltura, aumenta la resa produttiva e la qualità della granella.

Per via fogliare questi concimi vengono rapidamente assorbiti per via fogliare e svolgono una doppia funzione, nutritiva e biostimolante, favorendo un ottimale sviluppo vegetativo, un’azione anti-stress e aumentando la qualità finale della granella, in termini di contenuto proteico e peso specifico

La tecnica di coltivazione tradizionalmente seguita negli areali tipici di produzione è estremamente semplificata: assente è l’impiego di prodotti chimici di sintesi, in particolare di erbicidi; l’impiego di concimi è limitato ad apporti molto ridotti di fertilizzanti azotati.

LA RACCOLTA DEL FARRO

La granella vestita di farro, viene raccolta tra la prima e la seconda decade di luglio, tramite operazione di mietitrebbiatura.

Particolare importanza assume questa operazione che deve mantenere una bassa velocità di avanzamento della macchina e di rotazione dell’aspo, soprattutto nel caso ci possano essere zone di allettamento e anche la velocità del battitore deve essere ridotta, e va aumentata la distanza dal contro battitore per evitare che parte della granella si spezzi o si decortichi.

LE RESE COLTURALI E L’UTILIZZO

Le produzioni sono molto variabili: dai 28-30 quintali ad ettaro nei terreni di pianura ai 10-18 delle zone di montagna e marginali.

Generalmente le rese in granella biologica sono di 2,5 – 3 t/ha per il farro dicocco e di 3 – 3,5 t/ha per lo spelta, fino ai 1,0-1,5 t /ha per il monococcum.

La granella oggi viene impiegata quasi esclusivamente nell’alimentazione umana. Lo spelta, può essere impiegata anche nella panificazione. Oggi, soprattutto nella zone tipiche è tornato ad essere prodotto e usato nella preparazione di diversi piatti tipici come la torta di farro o il minestrone di farro.

La granella svestita, decorticata di farro trova larghissimo impiego nell’alimentazione umana sotto forma di farina per la pastificazione (farro dicoccum) e panificazione (farro spelta e monococcum).

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