LA PRODUZIONE DEL FRUMENTO NEI TEMPI PASSATI (Prima Parte)

la produzione del frumento nei tempi passati (prima parte)

Nei tempi passati il frumento era la più importante delle colture praticate nei poderi mezzadrili. Occupava ogni anno quasi la metà del seminativo e dalle dimensioni del suo raccolto dipendeva essenzialmente la possibilità per la famiglia contadina di costituire una scorta di grano sufficiente a garantire i consumi familiari di pane e pasta sino al raccolto dell’estate successiva, anche dopo averne utilizzato, necessariamente, una parte per la nuova semina autunnale. Dalla consistenza del raccolto annuale di frumento dei poderi mezzadrili della pianura dipendevano inoltre, le condizioni dell’approvvigionamento di grano, farina e pane delle famiglie dei ceti popolari dei centri urbani minori e della città, i consumi di quelle dei piccoli proprietari e le rendite dei titolari di grandi e medie proprietà terriere.

LA PREPARAZIONE DEL TERRENO

L’aratura è rappresentata da alcuni esemplari di aratro in legno, strumento antichissimo, ormai quasi ovunque in disuso, risalente ai primi tempi della rivoluzione neolitica. Strumento indispensabile al lavoro contadino, in relazione al tipo di terreno che doveva essere rimosso, ad esso venivano aggiogati due buoi, ma anche cavalli, muli e asini.

L’aratura era l’operazione preliminare essenziale per la riuscita delle successive pratiche colturali. Assolveva a diverse funzioni: contrastava lo sviluppo delle piante infestanti, interrava i residui delle colture precedenti e il letame, conferiva al terreno la necessaria porosità. Sino alla fine del XIX secolo veniva eseguita con due strumenti distinti. Uno strumento era un aratro di tipo simmetrico, dotato di due versoi piatti uniti a cuneo; l’altro era invece un aratro asimmetrico, dotato di un unico versoio. I due aratri – che facevano parte della normale attrezzatura dei poderi, erano trainati da due sino a sei pariglie di buoi e vacche e, in generale, tracciavano solchi della profondità dai venti ai quaranta centimetri.

LA SPIANATURA DEL TERRENO

Dopo l’aratura il terreno doveva essere spianato frantumando le pesanti zolle rovesciate dall’aratro. Nel XIX-XX secolo questo tipo di lavoro veniva effettuato a mano con la zappa oppure con l’impiego di rulli cilindrici di legno trascinati sul campo da un tiro animale. Sui terreni più tenaci si utilizzava anche il mazzuolo, che era una sorta di martello di legno dal lungo manico.

Anche l’erpice era usato talvolta con questa finalità. Questo attrezzo si utilizzava in particolare in autunno per smuovere e distribuire letame e concimi sul campo prima della semina, per coprire di terra il seminato e all’inizio della primavera, per rompere la crosta superficiale del terreno indurita dalle gelate invernali ed estirpare le malerbe.

LA SEMINA

La semina era un operazione particolarmente importante perché da essa dipendeva in larga misura il risultato finale della coltura. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, la tecnica più diffusa era ancora la semina a spaglio che veniva effettuata manualmente durante i primi quindici giorni di ottobre, impiegando 1,25-1,40 ettolitri di semi per ogni ettaro di terreno.

COME AVVENIVA LA SEMINA

Il seminatore, camminando con passo regolare, spargeva le sementi, rilasciandole gradualmente dai lati della mano chiusa a pugno, tracciando una serie di archi il più possibile uniformi. Questo compito era affidato all’uomo più esperto della famiglia, perché richiedeva una grande abilità, che si poteva acquisire soltanto con l’esperienza di anni: il movimento delle gambe e delle braccia doveva infatti essere perfettamente coordinato ed era importante distribuire uniformemente la semente su tutta superficie del campo.

L’operatore portava con sé la semente dentro la sacca di un grembiule appeso al collo, oppure all’interno di un paniere di vimini o legno, che teneva appoggiato al ventre o sotto il braccio. I semi dovevano essere perfettamente asciutti, affinché non si attaccassero tra loro e scivolassero bene tra le mani.

L’UTILIZZO DELLE SEMINATRICI MECCANICHE

Anche se i primi progetti risalgono alla fine del XVI secolo e primi prototipi ed esperimenti alla metà del Settecento, solo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, le seminatrici meccaniche cominciarono a diffondersi con esemplari di fabbricazione inglese e tedesca, modificati e riadattati da artigiani del ferro in funzione delle esigenze locali.

LA COPERTURA DELLE SEMENTI SPARSI

Una volta seminato, a spaglio o a macchina, i semi dovevano essere ricoperti di terra, affinché le sementi attecchissero bene e non fossero portate via dagli uccelli granivori e dai polli, particolarmente golosi di granaglie e dei primi germogli. Questo poteva essere fatto con la zappa, oppure con l’erpice o con l’aratro simmetrico. In quest’ultimo caso, si provvedeva poi a perfezionare ulteriormente la superficie con la zappa, oppure trascinando sul letto di semina uno scalone o una frasca trainati da buoi.

La copertura delle sementi, però, non sempre era sufficiente a scongiurare l’azione distruttiva degli animali; per questo i contadini erigevano in mezzo al campo anche degli spaventapasseri e producevano di tanto in tanto forti rumori e detonazioni, con l’ausilio di alcuni attrezzi.

LE CURE COLTURALI

In primavera, intorno alla metà di marzo, quando sulle piantine di frumento erano spuntate almeno quattro foglie, era necessario smuovere lo strato superficiale del terreno circostante, con lo scopo di favorire l’aerazione del suolo, rimuovere le erbe infestanti e rincalzare leggermente la base degli steli, facilitando la nascita di radici avventizie.

Gli attrezzi maggiormente utilizzati a questo fine erano il sarchiello o zappetta leggera oppure, ma soltanto sui terreni seminati “a file”, l’estirpatore, con il quale si potevano sarchiare contemporaneamente più strisce di terreno, e la sarchiatrice (zappa meccanica).

Se poi, per effetto del gelo invernale, lo strato superficiale del seminato si era sollevato, mettendo in pericolo la sopravvivenza delle giovani piante, oppure per arrestarne l’eccessivo rigoglio, che avrebbe potuto causarne il successivo allettamento, si procedeva con la rullatura, operata trascinando sul terreno dei rulli leggeri di legno. In questo modo, si ripianava la superficie del suolo, provocando alle piante dei piccoli traumi che ne arrestavano momentaneamente la crescita. Se, ciononostante, la parte erbacea diveniva comunque troppo rigogliosa, utilizzando una falce a si asportavano le foglie apicali (cimatura), che venivano usate come foraggio per gli animali.

I VARI STRUMENTI PER LA MIETITURA DEL FRUMENTO

La fase della raccolta del frumento viene effettuata da una serie di strumenti: vari tipi di falce usate per tagliare grano ed erba, la falce fienaia con lama arcuata molto lunga munita di una o due impugnature, la falce a manico lungo per tagliare l’erba lungo pendii scoscesi e ripidi dei canali e dei fossati, strumenti di protezione del mietitore quali i corti pezzi di canna da infilare nelle dita della mano sinistra e il bracciale di cuoio per il polso. Sono inoltre esposti contenitori in cui si teneva la cote, pietra dura che serviva per affilare la lama, e alcune piccole incudini usate insieme al martello per la ribattitura delle lame sul campo.

Verso la fine di giugno, quando si riscontravano i primi segni di maturazione delle spighe, il frumento veniva mietuto a mano con la falce messoria.

L’operazione coinvolgeva tutti i membri della famiglia ad esclusione della reggitrice e, spesso, alcuni operai avventizi provenienti dalle campagne circostanti o, talvolta, dalle montagne. Oltre ad essere un momento d’intenso lavoro, era anche un’occasione di incontro fra persone provenienti da luoghi diversi, caratterizzata da una gioiosa convivialità.

I mietitori, donne e uomini avanzavano sul campo insieme, tagliando lo stelo all’altezza di 20-40 cm da terra. La lama ricurva della falce veniva utilizzata per tagliare e ancor prima per isolare un manipolo di steli: il mietitore chinato in avanti, lo afferrava con la mano sinistra e lo tagliava con un rapido gesto muovendo verso di sé la lama da sinistra verso destra. Con questo sistema, si calcola che, alla fine dell’Ottocento, per mietere un ettaro di terreno occorressero da 5 a 8 opere intendendo per opera il lavoro di una giornata di un uomo o di una donna.

LA BATTITURA DELLA LAMA DELLA FALCE

Durante le pause della lunga giornata di lavoro dei mietitori, la lama della falce doveva essere battuta più volte con l’incudine e il martello per eliminare le irregolarità che si venivano a formare durante l’uso e affilata di frequente con la pietra cote. Il contadino portava con sé tutta l’attrezzatura necessaria e la cote, in particolare, era conservata all’interno di una custodia di corno legata alla cintola, che veniva parzialmente riempita d’acqua, poiché l’umidità accentuava la capacità abrasiva della pietra.

I MANIPOLI ED I COVONI

I manipoli, disposti a croce dai mietitori sulle stoppie, venivano poi raccolti da chi li seguiva e provvedeva a formare i covoni. Questi ultimi avevano solitamente un diametro di 50 cm. e venivano legati con balzo di strame o steli di canapa bagnati, che erano stati sparsi poco prima sul campo da un bambino. I covoni venivano lasciati per breve tempo sul campo, affinché disseccassero, dopodiché venivano trasportati col carro alla corte colonica dove venivano riparati collocati sotto il portico della stalla-fienile o in apposite biche all’aperto.

LE MIETITRICI MECCANICHE

Le prime mietitrici meccaniche comparvero tra il 1930 e il 1940. Si trattava di falciatrici da fieno cui era stato applicato uno speciale apparecchio che le rendeva in grado di trattenere gli steli tagliati, accumulandoli fino a raggiungere la quantità necessaria per formare un covone.

LA SPIGOLATURA

Una volta che i covoni erano stati rimossi dal campo e trasportati sull’aia, alle donne anziane e ai fanciulli delle famiglie dei braccianti era consentita la spigolatura, cioè la raccolta manuale delle spighe rimaste a terra. Essi si recavano sui campi nelle prime ore del mattino e con un rastrello radunavano le spighe, che raccoglievano poi all’interno di grembiuli o di apposite sacche di tela. Oltre alle donne e ai bambini, la spigolatura era consentita anche ai disabili e agli uomini senza lavoro.

La fine della mietitura si festeggiava solitamente con un grande banchetto offerto dal mezzadro a tutti i lavoratori.

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