LA PRODUZIONE DEL FRUMENTO NEI TEMPI PASSATI (Seconda Parte)

la produzione del frumento nei tempi passati (seconda parte)

Una volta mietuto, il grano in cumuli veniva lasciato asciugare alcuni giorni, veniva poi legato in covoni e trasportato nell’aia, si stendevano i covoni sciolti e si procedeva all’operazione di trebbiatura delle spighe, allo scopo di dividere la paglia dai chicchi di grano.

COME AVVENIVA LA TREBBIATURA

Dopo la mietitura, il grano doveva essere trebbiato, cioè separato dalla paglia e dalla pula.

Prima della diffusione delle macchine trebbiatrici, questa operazione avveniva in luglio, preferibilmente nelle ore serali. Il luogo deputato era l’aia, termine con il quale si indicava un’area del cortile della casa colonica, a volte di forma circolare, esposta al sole, le cui dimensioni erano proporzionate a quelle del podere.

Prima della trebbiatura, il fondo, se in terra battuta, veniva trattato più volte con una miscela di acqua, urina e sterco bovini perché assumesse, una volta asciugato dal sole, una consistenza dura e compatta; poi, in attesa della trebbiatura, veniva ricoperto da un sottile strato di paglia per impedire la formazione di screpolature all’interno delle quali i chicchi di grano avrebbero potuto incastrarsi. I covoni venivano quindi aperti e si procedeva innanzitutto alla battitura, che consisteva in una violenta percussione o in un forte sfregamento delle spighe volti a estrarne completamente i grani.

LA BATTITURA DEL GRANO NELL’AIA

La prima fase, quella della battitura, poteva essere effettuata a mano con il correggiato, formato da due bastoni legati all’estremità superiore, che si batteva sul grano con uno slancio circolare o utilizzando degli animali (buoi, asini, muli) che girando sui covoni, calpestavano le spighe con gli zoccoli. In altri casi gli animali trainavano una grande pietra piatta, spesso scanalata, o una tavola appesantita con pietre e persone o munita di denti di ferro, che veniva trascinata sul grano. Durante la trebbiatura, le spighe di grano steso venivano rivoltate parecchie volte e la paglia mano a mano eliminata con le forche di legno o riammucchiata al centro dell’aia con i rastrelli.

Durante la battitura un gruppo di uomini rivoltava più volte la paglia con i forconi, affinché tutte le spighe fossero battute e quando, con il battitoio, venivano impiegati gli animali, i bambini e i ragazzi più giovani avevano il compito di prevenire con un apposito attingitoio la caduta di escrementi sul grano.

IL CORREGGIATO

L’attrezzo più antico utilizzato a questo scopo era il correggiato, composto da due segmenti di legno di forma cilindrica, legati da una cinghia, che i trebbiatori battevano ritmicamente sulle spighe con uno slancio circolare. In alternativa, le si sottoponeva al calpestio degli animali, buoi o cavalli, per poi perfezionare il lavoro a mano con il correggiato; oppure si trascinava su di esse una pesante tavola di legno dentellata, chiamata “battitoio”, trainata da due paia di bovini, il cui peso e la cui pressione potevano essere aumentati facendovi sedere sopra una persona. In montagna, al posto del battitoio, si utilizzava, invece, una grossa pietra sul cui fondo lo scalpello aveva ricavato delle piccole scanalature.

LA RIPULITURA DEL GRANO, LA SPULATURA

La fase successiva era costituita dall’operazione di spulatura, che serviva a eliminare i chicchi di grano dalle particelle di paglia rimaste, tra cui la pula (l’involucro del chicco). La spulatura si effettuava per ventilazione o per crivellatura, nel primo caso il mucchio di grano da pulire veniva lanciato in aria con pale o forche: nella caduta la paglia, più leggera, volava via, mentre il chicco cadeva in terra. Per piccole quantità di grano si usavano ventilabri di legno o di vimini, crivelli e setacci muniti di maglie più o meno larghe.

Dopo la battitura, il grano veniva grossolanamente ripulito dalla paglia e dalla pula con forche e rastrelli, poi accuratamente vagliato con l’ausilio di pale, crivelli o ventilatori a manovella.

Con la pala, in un punto il più possibile ventilato, si lanciava in aria il grano in modo da far ricadere i chicchi a una certa distanza e da far disperdere dal vento pula e pagliuzze.

Il crivello era un largo recipiente di forma rotonda, a sponde basse, dal fondo coperto di fori di idonea dimensione, in cui veniva versato e mosso ritmicamente in senso circolare il grano. Le dimensioni dei fori potevano variare: i crivelli dotati di ampie forature, usati per una prima pulitura più grossolana, lasci trattenendo soltanto i frammenti di paglia e di spighe; con i crivelli più fini si selezionavano i grani migliori, eliminando eventuali sassolini, frammenti di terra, semi guasti, spezzati o troppo piccoli. A partire dai primi decenni dell’Ottocento furono introdotti dei ventilatori meccanici mossi da una manovella, che ripulivano e selezionavano i granelli dalle impurità.

LE PRIME MACCHINE TREBBIATRICI

Le prime prove di una vera e propria macchina trebbiatrice mossa da una locomobile a vapore furono effettuate nel bolognese nel 1857 nella tenuta di Mezzolara. Nel 1880 si potevano già contare diverse trebbiatrici meccaniche (Ruston-Proctor, De Morsier, ecc.) di proprietà di piccoli e grandi imprenditori agricoli e di conto-terzisti, che le noleggiavano ai mezzadri in cambio del 4% del prodotto giornaliero. Attorno alle macchine, alimentate a legna, carbone e pula, erano impegnati 30-40 lavoratori, per lo più mezzadri appartenenti a famiglie e poderi diversi e il lavoro veniva organizzato secondo il sistema dello scambio delle opere.

Rispetto alle tecniche tradizionali, l’impiego della macchina presentava il vantaggio di ridurre notevolmente i tempi di lavorazione, consentiva ai mezzadri di dedicarsi ad altri lavori e offriva ai proprietari la possibilità di esercitare un controllo più efficace sulla spartizione del prodotto.

LA DIVISIONE DEL RACCOLTO

Era poi il momento della circolazione del prodotto che si svolgeva con l’aiuto di recipienti per misurare il grano, alcuni dei quali, di vaia fattura e provenienza, sono esposti in vetrina. Il grano veniva di solito in parte diviso (spartito) tra il proprietario della terra e il contadino, attraverso diversi tipi di contratti, di mezzadria o di colonia, rapporti parziari che nei vari momenti storici e nei diversi luoghi hanno assunto caratteristiche particolari.

Il prodotto era poi venduto o scambiato in natura, una parte immagazzinato per scopi alimentari, una parte infine conservato per la semina successiva. Il grano o la farina venivano quindi conservati in grandi recipienti come il grande silo, tipico dell’Italia centrale (per il grano o altri cereali ancora da macinare) in cesti, madie o altri recipienti.

LA CONSERVAZIONE DEL GRANO

Dopo la trebbiatura, il grano veniva lasciato all’aperto, sull’aia, in posizione soleggiata, per scongiurare una germinazione precoce e la formazione di larve infestanti e di muffe, poi veniva trasferito nel granaio della casa colonica, oppure in speciali magazzini, detti silo, all’interno di sacchi, per il trasporto dei quali ci si avvaleva di piccoli carretti di legno.

Il granaio era situato al piano superiore della casa colonica, spesso nel sottotetto, dove il grano era conservato in strati sottili, che venivano frequentemente movimentati con l’ausilio di pale, fino al completamento dell’essiccazione.

Prima di introdurvi le granaglie, questo locale veniva ripulito, intonacato (se necessario) e disinfettato bruciandovi all’interno dello zolfo; le finestre, sempre aperte, erano protette da una reticella che impediva l’accesso di passeri e colombi.

Una parte del grano raccolto veniva destinata a semente per l’anno successivo; il rimanente veniva diviso a metà tra il proprietario del fondo e il mezzadro.

Per farlo questo, i grano trebbiato veniva disposto su un telo bianco disteso sopra l’aia e misurato, almeno sino alla fine dell’Ottocento, con i tradizionali strumenti e unità di misura: lo staio e la corba.

La quota padronale entrava prevalentemente nel circuito del mercato cittadino, mentre la quota colonica era destinata al consumo domestico e, utilizzata in parte, come corrispettivo, insieme al vino, dei servigi prestati da altri contadini, braccianti e artigiani, ecc..

Il grano da semente era oggetto di una operazione di pulitura speciale, volta a eliminare eventuali semi di erbe infestanti o di altre specie di grano. Si selezionavano poi i grani migliori, che dovevano essere il più possibile integri, grossi e pesanti, possedere un adeguato potere germinativo ed essere immuni dalle più comuni malattie.

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