LA SUDDIVISIONE DELLE MICORRIZE

la suddivisione delle micorrize

Le micorrize sono solo una combinazione di funghi miceliali con il sistema di radici delle piante. Le radici fungine e le radici delle piante si intrecciano, a volte il fungo viene introdotto nel sistema radicale delle piante, che viene fatto per una fruttuosa cooperazione di entrambe le parti.

Le micorrize si possono definire come un habitat simbiotico di funghi sulla superficie del sistema radicale o nei tessuti delle radici delle piante superiori.

Più del 90% delle specie vegetali in condizioni naturali risulta micorrizato. Sono stati trovati resti fossili che confermano l’esistenza delle endomicorrize già 450 milioni di anni fa, contemporaneamente all’apparizione dei vegetali sulle terre emerse.

Al contrario, negli ambienti antropizzati (campi coltivati e verde urbano) le micorrize sono spesso assenti oppure presenti in forma molto ridotta, molto probabilmente a causa dell’inquinamento chimico dei terreni.

LA CASSIFICAZIONE DELLE MICORRIZE

Le specie conosciute sono circa 150 e sono in grado di colonizzare circa il 95% delle specie vegetali. Colonizzano gran parte delle specie di interesse agrario e forestale: piante erbacee, da frutto, latifoglie e conifere, quasi tutte le specie orticole (ad eccezione delle famiglie delle Crucifere come il Cavolo, il Cavolfiore, ecc.. e delle Chenopodiacee come lo Spinacio) e tutte le specie di colture estensive (mais, soia, ecc..) ad esclusione della Barbabietola.

Per capire meglio l’effetto delle micorrize, consideriamo i suoi tipi. Esistono tre tipi principali di micorrize: ectotrofico, endotrofico ed ectoendotrofico. 

Nella sua essenza biologica, il primo tipo è la copertura esterna o superficiale delle radici con un micelio, il secondo tipo è caratterizzato dalla penetrazione nei tessuti radicolari e il terzo tipo è una interazione mista.

Sappiamo che tale cooperazione è caratteristica per quasi tutte le piante: erbacee, alberi, arbusti.

LA SUDDIVISIONE DELLE MICORRIZE

Le micorrize si dividono in tre principali tipologie:

1) LE ECTOTROFICHE

Le Ectomicorrize sono in grado di colonizzare poche specie di piante, quasi tutte essenze forestali (conifere e latifoglie) ma rivestono poca importanza per le colture agrarie. Sono così definite perché non penetrano all’interno dei tessuti ma formano uno spesso strato di micelio (mantello) attorno alle radici. Sono circa 5000 le specie di ectomicorrize conosciute. Generano spore come forma di sopravvivenza e diffusione, le quali sono trasportate dal vento, animali o dall’azione dell’uomo. I tartufi sono l’espressione più conosciuta di questa simbiosi micorrizica.

Le ectomicorrize interessano un numero relativamente limitato di specie vegetali (per lo più piante arboree forestali) ed un elevato numero di specie fungine

La massa filamentosa del fungo (ifa), resta in superficie, formando uno strato di micelio (insieme di ife) attorno alle radici. Un tipico esempio di tale fenomeno simbiotico, è il tartufo. Infatti, nonostante esso trovi il suo habitat naturale all’interno del terreno, non arriva fino alla radice della pianta.

LO SVILUPPO DELLE SPORE NELLE ECTOMICORRIZE

Le ectotrofiche sono le micorrize tipiche dei tartufi e dei porcini. Il fungo non penetra mai all’interno delle cellule dell’ospite. Le ife fungine formano come uno spesso strato attorno alle radici, detto mantello o micoclena. Colore, spessore, morfologia del mantello possono variare a seconda delle specie. Dal mantello le ife si insinuano tra le cellule della corteccia radicale, formando un intreccio intercellulare, il reticolo di Hartig. A seconda dell’ospite questo reticolo può essere più o meno sviluppato, e raggiungere il cilindro centrale (conifere) oppure limitarsi ai primi strati cellulari della corteccia (latifoglie). Sempre dal mantello si diparte una fitta rete di ife esterne e cordoni miceliari che si estendono notevolmente nel suolo circostante, e in condizioni appropriate possono produrre le strutture riproduttive (carpofori).

Generalmente la radice micorrizata risulta profondamente trasformata: la crescita è bloccata e si biforca, e assume una forma coralloide. Il mantello fungino spinto dalle radichette secondarie non si rompe, ma si estende entrando in attiva proliferazione cellulare, inglobando le nuove radici laterali. Nella radice micorrizata scompaiono i peli radicali.

Queste micorrize sono essenzialmente formate da alcune migliaia di specie fungine appartenenti agli Ascomiceti e Basidiomiceti, e sono presenti nelle piante forestali (latifoglie e conifere).

2) LE ENDOTROFICHE

Le endotrofiche, a più ampia diffusione (anche tra le specie erbacee), non sono dotate di un mantello fungino esterno, ma presenti anche all’interno delle cellule.

Le endomicorrize interessano il 90% dei vegetali, ed un numero limitato di specie fungine (classe Zygomicetes).

Nelle endomicorrize la massa filamentosa del fungo (ifa), si spinge in profondità fino a raggiungere le cellule della corteccia. Sono le uniche per il loro interesse diretto e specifico sulle colture agrarie. Sono simbionti obbligati. A differenza delle prime, penetrano all’interno dei tessuti e delle cellule dell’ospite ma non formano un mantello fungino esterno. S’insediano sulla parte corticale della radice penetrandone le cellule e riempiendone gli spazi intercellulari senza però invadere mai il cilindro centrale. All’interno delle cellule possono formare delle strutture ovoidali dette vescicole e delle strutture ramificate dette arbuscoli. Esternamente il micelio può espandersi attorno alla radice fino a qualche centimetro.

LO SVILUPPO DELLE SPORE NELLE ENDOMICORRIZE

Le spore che si trovano nel terreno germinano in presenza di radici ospiti per effetto degli essudati radicali. Si sviluppano fino a raggiungere la radice stessa, e la colonizzano penetrando sia attraverso gli spazi intercellulari sia direttamente nelle cellule. Il fungo si diffonde così attraverso le cellule corticali, senza invadere mai il cilindro centrale e le cellule dell’apice radicale.

All’interno delle cellule le ife si diramano a formare delle strutture ramificate, gli arbuscoli, responsabili degli scambi nutrizionali tra i due simbionti: la pianta cede i carboidrati eccedenti prodotti attraverso la fotosintesi, il fungo a sua volta cede i sali minerali assorbiti dal suolo circostante. Gli arbuscoli hanno vita breve: dopo pochi giorni infatti degenerano. Un’altra struttura prodotta dalle ife fungine è la vescicola, rigonfiamento tondeggiante inter o intracellulare, organo di accumulo di granuli di grasso con funzione di riserva.

Anche se la radice non subisce variazioni morfologiche notevoli come avviene per le ectomicorrize, l’apparato radicale risente della presenza del fungo: possono infatti variare il grado di ramificazione e le dimensioni delle radici stesse, fino ad aumentare d centinaia di volte.

Formano endomicorrize arbuscolari circa 130 specie di funghi appartenenti all’ordine delle Glomales (Zygomiceti), e interessano molte piante erbacee, ortive, da frutto, forestali e tropicali, indice di mancanza di specificità. Si trovano anche presso le Pteridofite e Epatiche. In ambiente asfittico non esistono.

Esistono altri tipi di micorrize: le micorrize delle ericacee, le ectoendomicorrize (arbutoidi o monotropoidi), le endomicorrize delle orchidee (si tratta di particolari micorrize endotrofiche, essenziali anche per la germinazione del seme che può avvenire solo in presenza di una infestazione di ife fungine.

3) LE ECTOENDOTROFICHE

Nelle ectoendotrofiche la massa filamentosa (ifa), riesce a penetrare anche nello spessore della radice stessa, restando negli spazi intercellulari.

Le ectoendomicorrize rappresentano un tipo di micorriza ancora assai poco conosciuto ed indagato e costituiscono una forma intermedia tra le ectomicorrize e le endomicorrize. Infatti sono caratterizzate dalla presenza della micoclena e del reticolo di Hartig unitamente alla frequente penetrazione all’interno delle cellule radicali dove si ritrovano spesso avvolgimenti ifali.

Questo tipo di micorrize e’ stato osservato in diverse conifere come Pinus, Picea e Larix e in diverse Ericales.

IL RUOLO DELLE MICORRIZE COME BIOFERTILIZZATORI

Il ruolo delle micorrize. Le micorrize come biofertilizzatori. L’associazione micorrizica costituisce un esempio di simbiosi mutualistica. Lo stretto rapporto fisiologico, ecologico e riproduttivo cui danno luogo i simbionti si risolve, cioè, in termini di reciproco vantaggio. In generale lo scenario è il seguente: il fungo, organismo chemioeterotrofo, trae dalla pianta i composti del carbonio ad esso necessari per il suo sviluppo, mentre la pianta, dal canto suo, approfitta della capillare diffusione nel suolo del micelio fungino per esplorare un maggiore volume di terreno. In questo modo può accedere a maggiori quantità di acqua e nutrienti.

LA SUDDIVISIONE DELLE ENDOMICORRIZZE

Le Endomicorrize possono essere suddivise in cinque sottogruppi. Nel tipo più comune (le micorrize vescicolo arbuscolari dette anche VAM) il fungo, che cresce nel terreno, penetra nelle cellule radicali dove forma struttureramificate (arbuscoli).

È negli arbuscoli che avvengono gli scambi nutrizionali: il fungo assorbe gli elementi nutritivi dal terreno, in particolare il fosforo, il potassio ed alcuni microelementi, e li cede alla pianta per riceverne in cambio linfa elaborata.

La formazione di micorrize conferisce alla pianta una maggiore capacità di assorbimento dell’acqua e la protezione dall’attacco di alcuni patogeni radicali. La somma di questi effetti garantisce una crescita migliore nelle piante micorrizate.

LA RIPRODUZIONE DELLE ENDOMICORRIZE

Le micorrize sono in grado di riprodursi solamente quando entrano in simbiosi con le piante.

Per la propagazione quindi si utilizzano “piante trappola” dalle quali sono estratti micelio e spore.

È possibile isolare le spore ma solo con un delicato processo di filtrazione. Le spore delle endomicorrize sono di grandi dimensioni quindi non possono penetrare nel suolo con l’acqua, come accade invece per le ectomicorrize, ma devono essere miscelate al substrato di coltivazione affinché possano espletare la loro azione.

L’INOCULAZIONE DEL MICELIO MICORRIZZANTE

Il micelio, affinché manifesti la sua azione “micorrizante” sulle piante, dev’essere inoculato ancora fresco e vitale. La limitata possibilità di conservare il micelio per lunghi periodi (da 6 –8 mesi, max 18 mesi se conservato al freddo o fissato e stabilizzato) riduce l’interesse alla commercializzazione dell’inoculo e fa sì che l’enorme potenzialità della micorrizazione delle piante ortive passi in secondo piano rispetto agli interessi economici.

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