LA ROTAZIONE AGRARIA NELLA STORIA
Dal punto di vista storico la rotazione o avvicendamento colturale riguarda le conoscenze ed anche le tecnologie riguardanti il mondo agricolo. Le grandi civiltà del pianeta, le antiche civiltà di Babilonia e dell’Egitto, quelle più recenti dell’India e della Cina, hanno contribuito grandemente al sorgere delle tecniche agricole, ma, solo in misura esigua all’agronomia come scienza moderna.
Fin dall’alba della coltivazione i primi agricoltori constatarono che, continuando a coltivare cereali sullo stesso terreno, la sua produttività diminuiva e i raccolti si contraevano. Ne conseguiva la necessità di abbandonare un campo dopo una serie di raccolti per coltivarne uno vergine: quel terreno rimaneva così inutilizzato finché la prateria non lo avrebbe “invaso”.
LA ROTAZIONE AGRARIA NEL NEOLITICO
Ben presto gli agricoltori si accorsero che era possibile prolungare nel tempo la fertilità del terreno grazie all’avvicendamento delle colture, ovvero praticando la tecnica ancor oggi definita rotazione agraria.
Nel Neolitico la rotazione agraria era di tipo biennale e consisteva nel coltivare una parte dei campi con specie che tendono ad esaurire le sostanze nutritive del terreno (cereali, legumi…), mentre l’altra parte veniva lasciata a maggese, ovvero destinata al pascolo degli animali.
In questo modo la zona tenuta a pascolo non si impoveriva di sostanze fertilizzanti e veniva concimata dal bestiame, mentre di anno in anno i terreni si invertivano e ciò consentiva di sfruttarli più a lungo che in passato.
Un tipo di rotazione più sofisticato prevede di avvicendare le colture tra piante che impoveriscono il terreno ed altre che lo arricchiscono per le loro caratteristiche, come ad esempio il mais oppure l’erba medica e il trifoglio. Essa viene perlopiù usata nell’agricoltura moderna, accanto alla cosiddetta rotazione triennale che divide il terreno in tre parti e ne destina solo una al maggese o alle coltivazioni che reintegrano le sostanze organiche (la rotazione triennale si è diffusa in Europa solo a partire dal Medioevo, all’epoca della seconda rivoluzione agricola).
LA ROTAZIONE BIENNALE
Con il progredire della civiltà in età protostorica, sulle sponde del Mediterraneo si stabilì il sistema della rotazione “biennale”: un anno di coltivazione, uno di riposo. Nel sistema mediterraneo il riposo è (si deve sottolineare) “riposo coltivato”: per accumulare acqua il terreno viene lavorato dalla tarda primavera al periodo della semina, per tre o quattro volte. Nelle terre dell’Europa centrale, in cui la necessità di accumulare acqua è meno pressante che sulle rive del Mediterraneo, si stabilì, all’alba dell’età storica degli stessi paesi, la rotazione “triennale”.
L’introduzione della rotazione biennale modificò profondamente l’agricoltura del Neolitico e contribuì a renderla sedentaria, ovvero permise ai contadini di stabilirsi in un territorio senza essere costretti a lasciarlo una volta che il terreno aveva perso la sua fertilità; si ponevano le premesse per la nascita delle prime civiltà stanziali della storia umana, dopo che per quasi 2 MLN di anni gli abitanti della Terra erano stati nomadi e si erano spostati incessantemente, prima alla ricerca di animali da cacciare e in seguito per trovare terre fertili.
LA ROTAZIONE IN EPOCA ROMANA
Il concetto di avvicendamento e rotazione colturale, ha una storia molto antica risalente all’epoca Romana. Il principale obbiettivo di queste due tecniche agronomiche, è quello di restituire e/o ricostituire la forza vecchia perduta con il succedersi delle colture sullo stesso terreno in modo da mantenere la fertilità del terreno, sempre costante nel tempo.
Nel V secolo a.C. le terre a Roma erano divise in piccoli appezzamenti a conduzione familiare. I Greci del periodo, però, avevano iniziato ad usare la rotazione delle colture e ad avere grandi tenute. I contatti romani con Cartagine, la Grecia e l’est ellenistico, migliorarono i metodi dell’agricoltura romana, che raggiunse il suo apice in produzione ed efficienza fra l’età tarda della repubblica e l’inizio dell’impero Romano.
I contatti con la civiltà greca portarono molti benefici all’agricoltura:
- La rotazione delle colture.
- Dal VII secolo a.C. la coltivazione della vite che ebbe grande diffusione e produsse vini esportati in tutto il Mediterraneo.
- A partire dal V secolo a.C. la coltivazione dell’ulivo.
LA ROTAZIONE COLTURALE IN GRECIA
La rotazione biennale a maggese era largamente praticata, per la cerealicoltura, sia in Grecia che in Italia, dove la pratica fu probabilmente importata dalla Grecia stessa attraverso la mediazione degli Etruschi (VIII-VI secolo).
I campi a riposo andavano ripetutamente arati per impedire l’allignare delle erbe infestanti; ma era anche praticato il “maggese verde”, con avvicendamento fra i cereali e i legumi (esclusi i ceci), che ricostituivano, come agli antichi era noto, la fertilità del suolo.
Il riposo a maggese poteva però risultare conveniente su superfici ampie e proprietà medio-grandi, a coltura estensiva; il piccolo proprietario, che disponesse solo di pochi ettari di terreno, non poteva concedersi il lusso di rinunciare ogni anno a metà del prodotto, con la conseguenza di un rapido esaurimento dei terreni.
L’AVVICENDAMENTO TRIENNALE
La rotazione triennale delle colture è una tecnica agricola che si diffuse in varie zone d’Europa a partire dalla fine dell’VIII secolo a.C. da parte degli Etruschi (alternato i campi con colture di cereali e/o leguminose, o a disposizione per il pascolo) in sostituzione all’avvicendamento biennale. Questa tecnica aiutava a diminuire il rischio di siccità.
Il primo anno nel primo terreno viene piantato il grano, nel secondo i legumi e il terzo viene lasciato a maggese (ossia a riposo). Il secondo anno il terreno che era occupato dal grano veniva lasciato a maggese, in quello precedentemente occupato dai legumi veniva piantato il grano e in quello vuoto nel primo anno venivano piantati i legumi. Nel terzo anno il primo terreno veniva seminato con legumi, il secondo lasciato a maggese e il terzo seminato con il grano. Si poteva sostituire al maggese l’erba medica ancora più efficace per fertilizzare il terreno.
LA PRATICA DEL MAGGESE
La ricostituzione della fertilità agronomica del terreno, avveniva facendo riposare il terreno di un certo numero di anni attraverso la pratica del maggese. La tecnica del maggese, seguita dalle lavorazioni al fine di mantenere inalterata la fertilità del terreno, ha dominato gli ordinamenti colturali italiani fino alla metà del 1800.
Sull’utilità dell’avvicendamento e delle rotazioni colturali, ne parla Virgilio negli scritti delle Georgiche.
Anche durante l’impero romano gli imperatori Diocleziano, Costantino e Teodosio emanano dei provvedimenti al fine di privilegiare l’esecuzione di tali tecniche colturali con coltivazione di cereali a cui facevano seguito lunghi periodi di riposo.
LA ROTAZIONE NEL MEDIOEVO
Durante l’epoca Medievale intorno al 1200 la pratica della rotazione colturale faceva già parte degli ordinamenti produttivi aziendali come pratica comune.
Tra l’alto Medioevo e l’XI secolo vengono introdotti, nell’ambito della coltivazione, molti degli elementi che saranno alla base della rivoluzione agricola dell’Occidente. Prima fra tutti, l’introduzione della rotazione delle colture permette di ottenere rese maggiori nella produzione, ma anche la messa in funzione di validi sistemi di irrigazione, nuove tecniche per sfruttare al meglio il lavoro degli animali, l’evoluzione dell’aratro, consentono la moltiplicazione dei raccolti, con una drastica riduzione del lavoro da parte dell’uomo.
Intorno al 1700 nella zona del Fiorentino, nel Pesciatino e nella Lucchesia alla pratica del riposo si sostituì dopo aver effettuato la coltivazione dei cereali, l’introduzione del prato artificiale.
Tuttavia però fu soltanto solo dopo la metà del 1800 con l’introduzione delle colture industriali che tali pratiche agronomiche entrarono a far parte dei sistemi colturali aziendali del centro nord d’Italia evolvendosi in una serie di ordinamenti colturali che hanno dominato il panorama agricolo almeno fino al 1960.
Il modello iniziale di avvicendamento e rotazione colturale da cui poi sono derivati gli altri, fu quello della rotazione quadriennale dell’azienda di Norfolk in Scozia costituita da 4 piante.
- Rape – Trifoglio pratense – Frumento – Frumento.
LA COLTURA PROMISCUA
Ad oggi il ricorso agli avvicendamenti e alle rotazioni colturali è sempre minore a causa della semplificazione degli ordinamenti produttivi e al passaggio da una coltura promiscua o estensiva o polifunzionale più legata al sistema poderale e al lavoro animale, ad una coltivazione intensiva o mono successione o monocolturale legata invece alla meccanizzazione e all’utilizzo di fertilizzanti e fitofarmaci.
IL RITORNO ALL’AVVICENDAMENTO COLTURALE
Tuttavia negli ultimi anni si sta assistendo ad un ritorno all’impiego di queste due pratiche agronomiche per vari motivi:
- Il ricorso alla monocoltura con il passare degli anni comporta un depauperamento della fertilità chimica e biologica del suolo.
- La coltivazione di una sola coltura nello stesso terreno per molti anni, favorisce lo sviluppo di parassiti del terreno (es. funghi, nematodi e insetti terricoli) e l’accumulo di fitotossine (stanchezza del terreno).
- La coltivazione di una stessa pianta nello stesso terreno favorisce l’inquinamento ambientale (a causa dell’accumulo di pesticidi) e l’erosione del suolo.
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